Lo “ sconto in fattura ” ha avuto un’origine travagliata ed è al centro di fortissime proteste delle PMI, che hanno individuato in questo nuovo strumento di facilitazione degli utenti finali un concreto e grave rischio di concentrazione del mercato della riqualificazione energetica a favore di pochissimi grandi soggetti economici, fiscalmente ipercapienti, dotati di grande liquidità e in grado di raggiungere facilmente enormi quote di clientela potenziale grazie alla propria posizione dominante.
La soluzione di minima adottata in fase di conversione in legge del decreto, che consente la successiva cessione dei crediti d’imposta ai fornitori delle imprese che realizzano gli interventi, non è stata ritenuta sufficiente dalle associazioni delle imprese artigiane e degli installatori di serramenti e di impianti termoidraulici, che hanno attivato varie azioni di tutela, di contrasto al provvedimento e di sensibilizzazione delle forze politiche.
Ormai non si contano più le associazioni che hanno manifestato più o meno energicamente il proprio dissenso. Una petizione popolare sta raggiungendo in questi giorni la soglia delle 5 mila firme, tra le quali quella di alcuni esponenti politici della maggioranza, e una Giunta regionale ha addirittura annunciato il ricorso alla Corte Costituzionale.
Le polemiche sono state alimentate anche dal nuovo provvedimento dell’Agenzia delle entrate che da qualche giorno ha reso operativo il nuovo meccanismo di sconto in fattura.
L’obiettivo della semplificazione, come da noi previsto, è andato completamente disatteso.
Per i lavori condominiali, gli adempimenti burocratici in capo all’amministratore sono esattamente gli stessi già richiesti per la cessione dei crediti secondo il meccanismo previgente. In luogo della comunicazione della cessione dal singolo condòmino all’impresa che ha realizzato gli interventi, deve essere comunicato l’esercizio dell’opzione per il nuovo meccanismo. Scadenze, controlli sull’avvenuto pagamento della quota non incentivata e date di fruizione dei crediti d’imposta trasferiti sono rimasti immutati.
Per gli interventi in unità immobiliari singole gli adempimenti, che già erano semplici, sono rimasti praticamente invariati, salvo il fatto che la comunicazione all’Agenzia, che deve essere fatta entro il 20 febbraio dell’anno successivo, può essere fatta anche prima e la compensazione con i debiti fiscali dell’impresa può avvenire a partire dal giorno 10 del mese successivo a quello della comunicazione (mentre con il meccanismo previgente occorre attendere il mese di marzo dell’anno successivo). Per il 2019, le comunicazioni potranno essere fatte a partire dal 16 ottobre.
Anche con il nuovo meccanismo, la quota di credito che non è utilizzata nell’anno in compensazione o tramite la successiva cessione ai fornitori può essere utilizzata negli anni successivi, ma non può essere richiesta a rimborso.
Una possibile differenza rispetto al previgente meccanismo di cessione potrebbe riguardare proprio la successiva cessione ai “fornitori anche indiretti di beni e servizi”. Il nuovo provvedimento non fa cenno alla necessità che essi siano collegati al rapporto che ha originato l’incentivo. Non è chiaro se si tratti di una dimenticanza o di una maggiore apertura a un più vasto insieme di possibili cessionari. Questa seconda ipotesi, tutta da verificare, sarebbe la benvenuta e consentirebbe di diversificare i soggetti che potrebbero essere interessati ad acquisire i crediti d’imposta, oggi di fatto limitati ai soli grandi player energetici.
Posto che per i lavori in condominio nulla cambia, apparentemente lo “ sconto in fattura ” agevola i fornitori dei soli interventi nelle singole unità, consentendo loro di iniziare a fruire degli incentivi mesi prima rispetto al caso della cessione secondo la modalità previgente. In realtà questo beneficio è del tutto marginale rispetto ai rischi che incombono sui piccoli operatori.
Il dibattito politico è giunto finalmente a domandarsi perché l’art. 10 abbia suscitato tante preoccupazioni tra gli operatori quando, al contrario, la facoltà di cessione è sempre stata salutata come un provvedimento utile a diffondere le attività di riqualificazione del patrimonio immobiliare. Su questo punto è stata generata molta confusione, assimilando impropriamente il concetto di sconto con quello di detrazione.
La principale differenza tra i due meccanismi sta nella dirompente capacità promozionale del termine “sconto”, immediatamente comprensibile da tutti, facilmente veicolabile, di forte attrattività e indissolubilmente legata alla circostanza che l’onere dell’attualizzazione finanziaria è assorbito dal fornitore. È del tutto chiaro che il decreto Crescita ha puntato su questo potente effetto propagandistico, trascurando le gravi conseguenze che la sua repentina e generalizzata introduzione avrebbe causato.
Il legislatore ha omesso di considerare che le PMI semplicemente non dispongono di un accesso al credito sufficiente per sostenere la dilazione dei propri incassi in cinque anni. Il sistema creditizio, che oggi quando va bene alimenta la liquidità delle imprese con anticipazioni dell’ordine di qualche mese, è del tutto impreparato e indisponibile a sostenere un meccanismo che implica un’esposizione finanziaria di lungo periodo.
Ha omesso inoltre di considerare che la facoltà di cessione ai fornitori, che in linea teorica risolve il problema della capienza fiscale, si scontra con la scarsa maturità del mercato delle cessioni e con le restrizioni imposte dalla stessa amministrazione finanziaria, a causa delle quali gli unici soggetti che oggi hanno la possibilità e l’interesse di acquistare i crediti d’imposta sono quasi esclusivamente le maggiori utility dell’energia. Ma, proprio grazie al meccanismo dello ” sconto in fattura ”, le stesse utility diventano diretti concorrenti delle PMI cedenti, godendo però di una posizione di forza nettamente superiore.
Il messaggio veicolato dal meccanismo dello “ sconto in fattura ” porta quindi il cliente finale a non accettare proposte diverse e a pretendere lo sconto, mettendo in crisi decine di migliaia di piccole imprese che vengono estromesse dal mercato.
Il meccanismo della cessione, invece, comporta la negoziazione dell’attualizzazione, posto che l’Agenzia delle entrate non ammette che il costo finanziario sia incluso tra le spese che generano incentivi. Di conseguenza, il cliente è portato a valutare anche opzioni che non prevedano il trasferimento dell’incentivo e, in questo modo, il mercato resta libero di svilupparsi secondo diversi modelli in grado di coesistere e confrontarsi.
Di fronte a una protesta così diffusa, numerosi esponenti politici hanno manifestato la propria disponibilità a sostenere una modifica del testo approvato solo qualche settimana fa. A oggi sono stati annunciati quattro progetti di legge al Senato e uno alla Camera. Molti partiti di minoranza chiedono l’abolizione del nuovo meccanismo o, in alternativa, di consentire ai fornitori di cedere i crediti d’imposta ai soggetti finanziari. Il M5S, con l’unica proposta finora presentata dalla maggioranza, ha annunciato una modifica che consentirebbe un più agevole recupero fiscale da parte delle PMI.
Tuttavia, la modifica suggerita nel progetto di legge del M5S e condivisa dalla Lega, non è idonea a risolvere il problema perché, sebbene assicuri la possibilità di recuperare l’incentivo in qualunque condizione di capienza attraverso richieste di rimborso periodiche, il meccanismo avverrà sempre in cinque o sei anni.
Ammesso e non concesso che la Ragioneria dello Stato possa mettere il bollino su questa proposta che, capovolgendo il criterio degli incentivi fiscali e trasformandoli in sovvenzioni dirette, aumenterebbe le esigenze di indebitamento dello Stato per consentirgli di far fronte prontamente alle richieste di rimborso, il rimedio non risolve in alcun modo l’incubo finanziario in cui sono gettate le PMI incapaci di cedere i crediti fiscali.
Per evitare un disastro che coinvolgerebbe migliaia di PMI e lavoratori è necessario modificare al più presto l’art. 10. La soluzione deve tenere in considerazione la poliedricità del problema: non si tratta solo di garantire che gli incentivi non vadano perduti a causa della scarsa capienza fiscale, ma anche di assicurare condizioni di finanziamento compatibili con la disponibilità del sistema creditizio nazionale a sostenere il meccanismo, e di compensare l’onere finanziario scaricato sui fornitori.
Contro le proposte di abrogazione avanzate da alcuni partiti di minoranza si è già espresso il M5S, che ha dichiarato di essere pronto a intervenire, ma non a fare un passo indietro.
Proposte come quella di ridurre a un anno il periodo di compensazione sono del tutto fuori contesto (nessuna PMI possiede una tale capienza fiscale) e, se presuppongono un rimborso diretto dallo Stato, non hanno alcuna speranza di essere approvate dalla Ragioneria Generale.
La proposta di consentire la cessione alle banche avrebbe il pregio di accorciare la filiera, ridurre i costi di transazione e facilitare il finanziamento delle imprese, ma è sempre stata contrastata dalla Ragioneria dello Stato. Nulla lascia intravedere un cambio di orientamento, compreso il fatto che qualche settimana fa questa ipotesi sia stata fugacemente accennata dal M5S ma che poi non sia stata inclusa nel suo disegno di legge.
La proposta di Rete IRENE
La nostra proposta, che potrebbe soddisfare tutti, consiste nel circoscrivere l’applicazione dello “ sconto in fattura ” a un ambito dal quale siano esclusi i piccoli installatori di serramenti e impianti termici, che dunque non subirebbero la concorrenza diretta delle grandi utility, e che comprenda solo gli interventi più significativi di riqualificazione, per esempio quelli condominiali più orientati alla deep renovation.
Oltre a fugare le legittime preoccupazioni delle tante associazioni di categoria per il destino di imprese e lavoratori, questo criterio selettivo tiene conto dell’osservazione, corroborata dai dati pubblicati dall’ENEA, che le attività minori di efficienza energetica, riguardanti la sostituzione di singole componenti degli involucri edilizi o degli impianti (serramenti, caldaie, piccoli interventi di coibentazione, ecc.), non sembrano necessitare dello stimolo aggiuntivo che il decreto Crescita ha inteso promuovere attraverso la maggior capacità promozionale dello ”sconto in fattura”. Per questo tipo di attività lo “ sconto in fattura ” non serve e rischia solo di fare gravi danni.
Al contrario, la domanda di riqualificazione globale e di interventi estensivi sugli involucri, soprattutto condominiali, continua a essere piuttosto debole nonostante il gigantesco potenziale e la possibilità di ricorrere ai nuovi incentivi specifici introdotti dal 2017 (ecobonus e sismabonus per condomini) e al meccanismo di cessione dei crediti d’imposta aggiunto l’anno successivo, anche se, finalmente i segnali che da quasi un anno giungono dal mercato sono incoraggianti.
L’attivazione del segmento della riqualificazione profonda degli edifici, cruciale per il conseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione indicati nella proposta di Piano Nazionale Energia e Clima, necessita di essere sostenuta in ogni modo, anche in via sperimentale. Il minor costo dell’attualizzazione (5 anni in luogo di 10) connesso con il meccanismo dello “sconto in fattura” può contribuire a orientare più efficacemente i cittadini verso gli interventi più strutturati.
Questi interventi possiedono livelli di complessità tecnica e commerciale tali da richiedere l’intervento di operatori strutturati e organizzati in modo da non temere la concorrenza diretta delle utility.
Molti altri aspetti del sistema degli incentivi potrebbero essere migliorati al fine di incrementarne la coerenza e l’efficacia, ben più di quanto può fare, anche emendato dei suoi difetti, lo “ sconto in fattura ”.
È da salutare con favore l’iniziativa parlamentare che assegna alla Commissione Industria del Senato l’esame delle “ricadute dei sistemi di incentivazione per la riqualificazione energetica degli edifici sulle filiere produttive di settore”, al fine di individuare “le criticità e le eventuali soluzioni per migliorare gli strumenti di sostegno”. Si auspica che l’esito dell’attività si traduca in una proposta di legge di riordino degli incentivi che possa essere affrontata autonomamente rispetto alla legge di bilancio, i cui tempi e modi di approvazione risultano chiaramente inadeguati ad assicurare la concentrazione necessaria per produrre un testo ponderato ed equilibrato.
Alleghiamo un’analisi approfondita:
- dei motivi per cui l’art. 10 è dannoso per le PMI e rischia di causare una contrazione del mercato
- dei disegni di legge di modifica annunciati alla Camera e al Senato
- della proposta di modifica dell’art. 10 del decreto Crescita formulata da Rete IRENE
- delle altre proposte di miglioramento del sistema incentivante
Articolo realizzato da Virginio Trivella – Coordinatore del Comitato tecnico scientifico di Rete IRENE.