Il Green Deal inizia il suo percorso per diventare la prima legge europea sul clima, ponendo obiettivi e scadenze per arrivare ad un Europa Carbon Free
Prima legge europea sul clima, Green Deal e futuro: sono queste le tre parole chiave a cui tutti dovremo prestare attenzione nei prossimi mesi e anni. Sì, perché se è vero che il mondo, l’Europa e l’Italia in particolare, stanno vivendo una situazione tra le più drammatiche a livello sanitario mai registrate, è altrettanto vero che sul versante ambiente qualcosa si sta muovendo, positivamente.
È di pochissimi giorni fa la notizia che il Green Deal europeo diventerà la prima legge europea sul clima. Ursula von der Leyen l’ha definito “la bussola dell’Europa per i prossimi 30 anni”. Ebbene sì, perché tutto si focalizza attorno ad una data chiave: il 2050, anno entro il quale dovrebbe avvenire la neutralizzazione totale delle emissioni di CO2.
Nobile sicuramente e degna di nota la volontà di obbligare i Paesi dell’UE ad inserire obiettivi ambientali in ogni futura legislazione. Un patto che divenendo legge sarà vincolante, garantendo certezze misurabili.
Ma cosa prevede esattamente questa proposta che andrà a creare la prima legge europea sul clima?
- Riduzione della CO2 fino alla sua neutralizzazione entro il 2050
- Innalzamento, entro il prossimo anno, del livello delle ambizioni e dei target definiti al 2030 per quanto concerne la riduzione delle emissioni (molto probabilmente spinti al 55% rispetto ai livelli del 1990, contro il 40% dichiarato in partenza)
- Conferimento di ampi poteri alla Commissione Europea per poter apportare aggiustamenti durante il percorso
- La delineazione del 2021 come orizzonte per proporre modifiche ai regolamenti europei sul clima o sull’efficienza energetica
- Un dialogo aperto con autorità locali, società civile, imprese e investitori
- Obiettivi vincolanti per l’Unione Europea nel suo complesso, non per i singoli Stati
Una proposta di legge che sarà esaminata dal Consiglio e dall’Europarlamento, ma che desta comunque qualche perplessità.
Senza arrivare a definirla “una resa” come scritto nella lettera aperta che Greta Thunberg e altri attivisti hanno redatto, può sembrare che fissare un obiettivo di cui si discute da almeno cinque anni (con tutte le variabili del caso) a una distanza temporale di 30 anni sia un compromesso sconfortante. Soprattutto se si pensa ai tempi lunghissimi di recepimento delle direttive comunitarie nelle legislazioni nazionali e della loro effettiva implementazione.
Se da un lato la proposta di legge esprime la volontà di incrementare la riduzione delle emissioni dal 40% al 55% rispetto al 1990 entro il 2030 (la percentuale definitiva sarà fissata entro settembre), dall’altro i tempi delle verifiche dell’azione dei singoli Paesi sembrano troppo lunghi e la capacità dell’Unione di imporre correttivi pare troppo blanda e inefficace, basata com’è sullo spirito solidaristico e su un approccio di tipo volontario.
Si pensi che, tanto per fare un esempio che riguarda un altro target, la fissazione dell’obiettivo di risparmio energetico del 32,5% entro il 2030 è stato definito dalla Commissione europea il 25 febbraio 2015 e statuito dalla direttiva EED2 nel 2018, dovrebbe essere recepito dai Paesi membri entro il 25 giugno 2020, in Italia ha appena iniziato l’iter parlamentare di approvazione e impiegherà qualche anno per dispiegare i suoi effetti. A questa stregua, il nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030 potrebbe cominciare a essere concretamente perseguito solo qualche anno prima del 2030.
Sono in tanti, Italia compresa, a chiedere l’anticipazione della revisione dell’obiettivo in modo che esso possa essere approvato entro giugno, in tempo per la COP26 di Glasgow, e altrettanti a richiedere un impegno al fine di far arrivare la riduzione al 65% entro il 2030 considerando che, come emerso da un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato sul finire dello scorso anno “anche se tutti i paesi del mondo rispettassero gli impegni presi finora sulla riduzione delle emissioni, la temperatura globale aumenterebbe comunque di 3 gradi entro la fine del secolo, ben al di sopra degli obiettivi fissati alla conferenza di Parigi nel 2015”.
La messa a punto di paletti intermedi da qui al 2050 non esaurisce le esigenze e una presa di posizione di un controllo reale (con sanzioni) verso coloro che non rispetteranno i vincoli di legge non solo post 2050, ma anche prima, sembra essere indispensabile, se si vuole dotare il percorso verso l’obiettivo di vera concretezza.
Sul fronte Green Deal – Unione Europea non possiamo fare altro che attendere settembre (sperando in un’anticipazione a giugno) e auspicare una presa di coscienza da parte delle istituzioni comunitarie. Sul tema tuttavia si è mosso parallelamente anche il progetto europeo COP21 Ripples, finanziato dal programma Ue Horizon2020 con circa 3 milioni di euro e coordinato dal francese Institut pour le Developpement Durable che ha visto la collaborazione di 18 istituzioni di ricerca di 10 Paesi europei e non (tra cui ENEA), chiamati a prendere in esame le politiche di decarbonizzazione post-COP21 nazionali e globali.
Per contenere l’aumento di temperatura al di sotto dei 2 gradi centigradi anche l’analisi dell’Enea, in occasione di questo studio, conferma la tesi che tutti i Paesi dell’UE dovrebbero perseguire strategie più ambiziose e accelerare le tappe.
Entro il 2050 si dovrebbero progressivamente abbandonare le fonti fossili, mentre le energie rinnovabili dovrebbero soddisfare più della metà della domanda di elettricità, così come da visione italiana, spagnola e tedesca. In Polonia, Repubblica Ceca, Regno Unito è previsto un aumento del ricorso all’energia nucleare da fissione, che Paesi come Francia e Germania hanno deciso di ridurre o abbandonare entro il 2025, e che dovrebbe essere sostituita con massicci investimenti in efficienza energetica e rinnovabili.
Dall’analisi, l’Italia ha un ruolo primario nell’esportazione di alcune tecnologie low-carbon come quelle del solare termico, dell’idroelettrico e per l’efficienza energetica, mentre è quasi assente nel fotovoltaico, nei biocarburanti e nel nucleare. Inoltre, in materia di mobilità elettrica, l’ENEA sottolinea la necessità di cogliere le opportunità dell’auto elettrica, pena rimanere un importatore netto anche in uno scenario di rapido sviluppo del settore.
Insomma, sono tanti gli sforzi e i passi avanti a livello legislativo che si stanno facendo. Tutti sembrano uniti sotto un’unica grande consapevolezza: bisogna agire. L’importante è che lo si faccia da subito e in modo coordinato.
E se è vero che “per prepararci al futuro dovremmo guardare al passato”, è sicuramente interessante prendere coscienza dell’evoluzione delle COP dal 1995 ad oggi.